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Evoluzione spirituale? Agiamo con un approccio laico
Siamo sicuri di aver capito esattamente il luogo in cui origina il pensiero?
Quale sia la sua vera casa?
Nella società che abbiamo creato viene data molta importanza al ruolo del pensiero sulla gestione delle nostre esistenze, come caratteristica peculiare e distintiva della nostra specie.
Nasce tutto nel cervello?
Nella filosofia Buddhista, per esempio, lo spazio della mente è nel cuore, e questo già apre una nuova panoramica interessante sul nostro paesaggio interiore, mentre in Occidente siamo portati a collocare l’immaginario di tutto ciò che riguarda la mente e il suo operato nel cervello, nel sistema nervoso centrale.
In effetti, come specie noi umani vantiamo il cervello più grande in assoluto, in proporzione alle dimensioni del corpo, un organo complesso dalle capacità estremamente raffinate, il cui funzionamento è in parte ancora avvolto nel mistero, ma preferisco nutrire dubbi più che avere certezze. Certo è che, come abbiamo già visto nei precedenti numeri, il corpo è una meravigliosa unità olistica indivisibile, in cui tutti gli aspetti si muovono in modo integrato e in costante interrelazione, per questo a me piace pensare che la mente sia presente in ogni singola cellula del corpo, in qualunque regione, tessuto o sistema si trovi.
Gli egizi ed il cervello
Ripenso all’antica civiltà egizia che, come tutti sanno, usava mummificare i corpi appartenuti a persone di una certa importanza. Gli organi interni venivano asportati, sostituiti con garze e poi i corpi avvolti da bende, all’interno delle quali venivano messi talismani e scarabei di oro e turchese come porta fortuna. Si riponevano poi gli organi in appositi contenitori, chiamati vasi canopi, che venivano sepolti insieme al corpo secondo un preciso rituale. Tutti meno uno: il cervello, che veniva asportato con un ferro uncinato attraverso le narici e poi gettato via senza troppi complimenti. Questo ci può dare l’idea della considerazione che questa civiltà aveva per la tanto preziosa materia grigia, eppure tra loro vivevano validi scienziati, dottori, astronomi e anche abili chirurghi, da come si evince dallo studio di alcuni resti in cui è stata trovata traccia di interventi di vario genere.
Corgito ergo sum
Potremmo individuare nel momento in cui venne pronunciata la celebre frase COGITO ERGO SUM, ossia “penso, quindi sono”, l’inizio di questa ascesa del cervello-pensiero nella scala di valori della nostra specie. È possibile che Cartesio non sia così contento di essere diventato famoso proprio per questa dichiarazione, di cui potremmo anche averne frainteso il significato, ma per estinguere ogni dubbio bisognerebbe poter chiedere delucidazioni al diretto interessato.
La cosa certa è che da allora, nella cultura di questa parte del mondo, l’attività intellettuale è stata considerata la principale risorsa e abilità che ci rende così diversi (superiori, sostiene qualcuno) dagli altri animali. Ma è proprio vero?
Poniamoci alcune domande
Siamo sicuri che l’attività mentale, per come viene utilizzata dalla maggior parte degli individui, possa essere lo strumento per il raggiungimento di un obiettivo di realizzazione? Di che genere di realizzazione stiamo parlando? Onestamente, a guardare la salute della nostra specie e della società odierna a me, non so a voi, qualche dubbio emerge.
Nel condurre le nostre esistenze di uomini contemporanei globalizzati, in questa irrefrenabile avanzata alla conquista del mondo, i nostri cervelli, investiti di una carica imperiale, vengono incessantemente inondati di informazioni, fin da quando siamo piccolissimi: nozioni da imparare a memoria, abilità intellettive da sviluppare, assimilare e comprendere, test a cui sottoporsi, un continuo bombardamento di stimoli fortemente stressante da internet, televisione, traffico automobilistico, inquinamento acustico.
Nella nostra mente è molto difficile trovare un momento di silenzio, uno spazio indispensabile in cui possa posarsi e riposarsi, in cui possa percepire cosa c’è al di là di sé stessa e di tutte le strutture che negli anni ha continuato a costruirsi attorno, ingabbiandosi in una identità il più delle volte rigida.
L’importanza della meditazione
Molte persone si stanno avvicinando alla pratica della meditazione, forse proprio a causa delle vite sempre più intense e veloci, che concederanno forse delle soddisfazioni, successo sul lavoro, appagamento economico, privilegi di varia natura, ma tutto questo al caro prezzo di allontanarci drammaticamente dal Silenzio, dalla quiete e da una certa idea di esistenza più ampia e onnicomprensiva: qualcosa insomma che non è possibile acquistare con il denaro, ma che è necessario piuttosto coltivare in prima persona giorno dopo giorno attraverso l’esperienza. Forse sarà capitato capitato a qualcuno di voi, di sentire un bisogno difficile da individuare e delineare, un luogo oscuro, incolmabile, profondo, come se nella nostra vita mancasse qualcosa di importante ma che non è possibile mettere veramente a fuoco.
Allora magari decidete di andare fare shopping, comprare una macchina nuova, un profumo, una vacanza, giusto per sentire un po’ di adrenalina circolare nel corpo, nel tentativo di dare un volto a quel vuoto, nella speranza di sedare quella brama, che però continua a premere, a reclamare la sua presenza nonostante i beni accumulati.
Vi trovate alla ricerca di un centro di gravità permanente, come lo ha chiamato Franco Battiato, grande sostenitore della meditazione e assiduo praticante da molti anni.
Yoga Sutra
Patanjali, celebre filosofo indiano, uno dei padri dello yoga, tra il 300 e il 500 D.C. scrisse gli Yoga Sutra, una preziosa raccolta di 196 aforismi che descrivono in modo semplice e diretto la visione yogica dell’esistenza. Al contrario di ciò che si potrebbe pensare, in questo testo non si parla quasi degli asana, cioè della pratica fisica dello yoga, ma l’autore si dedica in modo dettagliato e scientifico, a spiegare come poter intraprendere un cammino personale di elevazione e realizzazione spirituale come esseri umani.
L’aforisma è una forma letteraria perfetta per trasmettere questo tipo di informazioni, poiché la sua lettura tocca il lettore in modo assolutamente istintivo, totale, integrale, e ognuno comprende le conseguenti attivazioni in modo personale, non sempre conscio, interpretando ciò che si è letto in base alle proprie esperienze e al punto del cammino in cui si è giunti in quel dato momento.
Esistono numerosi commentari di questo testo, scritti da pensatori , filosofi, orientalisti e maestri di yoga, ma Patanjali riesce a colpire direttamente al cuore quindi forse vale la pena, anche ad un primo approccio, provare a leggerli così come sono stati scritti e lasciare che le parole aprano piccoli spiragli di luce nell’essere. Si tratta di una lettura da fare e rifare nel tempo poiché ogni volta un nuovo strato si rivela, come se la comprensione di questi aforismi fosse un vetro sporco su cui ogni tanto strofiniamo una spugna bagnata, che è la pratica costante: ad ogni passaggio la superficie diventa sempre più pulita e trasparente rendendo possibile, progressivamente, vedere meglio quello che c’è al di là.
Grande spazio viene dato da Patanjali alla meditazione, come farne esperienza e quale consapevolezza può essere acquisita in seguito alla sua pratica. Una delle rivelazioni più importanti a cui possiamo avere accesso, con un minimo di costanza e di ardore, che ci consenta di fare della meditazione una buona abitudine quotidiana, è che dietro al nostro sé, con la ‘s’ minuscola, esiste un grande Sé, in totale connessione con il tutto, con un Sé Supremo, immenso, universale, di cui noi non siamo che una goccia, una piccola scintilla divina che si incarna.
Ecco come l’umano e il divino sono connessi e compenetrati in una sola matrice di luce.
Questo vuol dire che tutto ciò che appartiene al nostro piccolo sé può essere considerato come illusione, individualità, uno strato comunque importantissimo per vivere e sopravvivere nelle relazioni che quotidianamente intratteniamo con gli altri sul lavoro, in famiglia e nel tempo che trascorriamo con gli amici, ma la cui importanza verrà relativizzata alla luce dell’esistenza di un piano più profondo, appena visibile attraverso questa fitta rete di oggetti galleggianti in superficie, un immenso campo di gioia, pace e gratitudine al quale possiamo avere sempre accesso, un luogo in cui il concetto stesso di IO e GLI ALTRI non è neanche concepibile. Non esiste separazione.
Tutto è interconnesso
Più mediteremo e più riusciremo a contattare questa inesauribile fonte immutabile e inviolabile, di cui noi stessi siamo fatti. Questo, all’atto pratico, ci consentirà di migliorare notevolmente la qualità della nostra vita, perché non è tanto ciò che ci capita a condizionarci, ma la reazione che noi abbiamo a quegli eventi, e questo è un aspetto su cui si può lavorare per rendere le nostre esistenze più morbide e accoglienti, non appuntite e taglienti.
Un altro aspetto importantissimo su cui la meditazione agisce in modo del tutto naturale, è l’attaccamento, che Patanjali indica come una delle afflizioni della mente. Attaccamento ad oggetti, persone o ricordi, ad esempio, e già dopo aver letto questo breve elenco scommetto che molti di voi hanno sentito qualcosa smuoversi da qualche parte nel corpo. L’attaccamento è ciò che ci fa procedere nella vita con dei pesantissimi bagagli addosso, appesi a spalle, braccia, schiena, che ci appesantiscono, ci affaticano, impediscono i nostri movimenti. Bagagli il cui spesso contenuto non ci serve realmente, ma di cui crediamo di aver bisogno, o che pensiamo di desiderare. Liberarsi dall’attaccamento a queste cose, non avere paura di lasciarle cadere, è l’unico modo per restare aperti al nuovo che arriva, con una adeguata flessibilità di movimento e capacità di adattamento alle situazioni. Finché ce ne stiamo sommersi da tutte quelle cianfrusaglie sarà difficile persino riuscire a vedere dove stiamo mettendo i piedi mentre camminiamo!
L’aspetto formidabile di questo testo è che descrive qualcosa che deve essere necessariamente provato attraverso l’esperienza. Filosofeggiare di meditazione serve a ben poco, le parole possono aiutare a comprendere in che direzione cercare, forse, ma è solo facendone esperienza che sarà possibile sempre di più toccare, sfiorare quella verità al di là dell’illusione, del velo di Maya. Per ottenere immediatamente dei risultati tangibili sull’esistenza quotidiana non è necessario raggiungere l’illuminazione, non è necessario ritirarsi in Tibet per sette anni, né riuscire a stare seduti nella posizione del loto per otto ore di seguito. Ognuno si costruisce il suo modo di contattare questo oceano profondo, attraverso un accesso in costante mutazione, che si evolve insieme al praticante. Ogni sessione di meditazione è diversa dalle altre, ogni viaggio è unico, e ognuno lo compie con i mezzi di cui dispone in quel dato momento, nei tempi e nelle modalità consone. Come scrive Donna Farhi nel suo libro ‘lo yoga nella vita’ : non è necessario essere persone straordinarie per seguire la via dello yoga, ma persone ordinarie che affrontano sfide straordinarie
Come tanti nervi scoperti di Gaia, con le colonne vertebrali sospese tra Madre Terra e Padre Celeste, i praticanti attendono immobili, con gioia, di poter essere raggiunti dal Grande Silenzio, che li avvolga nel suo abbraccio divino, e consenta loro di tornare a casa.
Siamo tutti principianti
Davanti alla meditazione siamo tutti principianti, per sempre: ci si siede senza aspettative di risultato, senza attaccamento alle esperienze passate, senza fare domande e senza cercare di capire a tutti i costi. Il Silenzio è timido, sussurra appena, e ogni volta che si tenta di violare il suo Mistero, di indugiare nel suo cuore per comprenderne il significato, ecco che immediatamente si ritira, si chiude in sé stesso, impedendone l’accesso e svanendo dalla percezione.
All’inizio non è per niente facile comprendere come intessere una personale relazione con il Silenzio, perché le nostre menti hanno il compito di produrre ininterrottamente pensieri che vengono proiettati su un schermo continuo. Una parte della nostra mente continuerà comunque la sua vitale attività, ma attraverso la meditazione cercheremo di mandare questo film lontano, in secondo piano, senza riconoscerci nei suoi contenuti, senza dilungarci nella sua visione e nei dialoghi, sincronizzandoci con l’oceano profondo che sta al di là di tutti questi vortici e mulinelli. Il piccolo ego cerca sempre di essere il protagonista delle nostre azioni e dei nostri pensieri, il film proiettato sullo schermo della nostra mente è il suo cibo preferito.
Quando sediamo in meditazione l’ego si sente mancare il respiro, perché stiamo mettendo a tacere il suo bisogno di essere sempre al centro dell’attenzione, allora tenta disperatamente di liberare il maggior numero possibile di pensieri e immagini, che all’improvviso affollano la nostra mente in modo inimmaginabile, rendendoci estremamente arduo il compito che ci siamo prefissati di portare avanti.
Le prime esperienze con la meditazione possono dimostrarsi ardue, quasi impossibili da attuare, ma non bisogna lasciarsi scoraggiare e perseverare. Anche una meditazione di soli cinque minuti può avere degli effetti sorprendenti sul resto della giornata, e credo che questo sia il vero scopo di questa pratica: non diventare degli asceti illuminati, dei Maestri spirituali, ma farci divenire persone gentili, empatiche, che rendono più gradevole l’ambiente in cui si trovano, instaurando relazioni pacifiche e amorevoli con i propri simili e con tutte le creature viventi.
“Una volta eradicata la violenza in una persona, in sua presenza cessa ogni ostilità”
(2. 35 Sadhana Pada, Patanjali).